(Federica Cannas) – Jeannette Jara, la candidata del blocco progressista, con oltre l’ottanta per cento delle schede scrutinate, guida il primo turno delle presidenziali cilene con circa 27% dei voti, davanti al 24% di José Antonio Kast. È un risultato che apre a un ballottaggio previsto per il 14 dicembre, destinato a definire non solo il prossimo governo, ma la direzione politica che il Cile intende intraprendere.
Il voto del 16 novembre ha restituito l’immagine di un Paese che oscilla fra due progetti opposti. Da un lato un’agenda progressista che punta a rafforzare i diritti sociali e a consolidare riforme ancora incompiute. Dall’altro una proposta conservatrice che mette al centro ordine e sicurezza, con l’obiettivo dichiarato di ridimensionare l’intervento dello Stato. Jara, ex ministra del Lavoro nel governo di Gabriel Boric e militante del Partido Comunista de Chile, arriva al ballottaggio come la candidata della continuità progressista. Kast, fondatore del Partido Republicano, rappresenta invece la linea più dura della destra cilena.
Dentro questo scenario si inserisce anche l’eredità politica più recente. Il mandato di Gabriel Boric ha riportato al centro del dibattito cileno la giustizia socialez L’aumento graduale del salario minimo ha raggiunto una soglia storica, la riduzione dell’orario di lavoro da 45 a 40 ore ha modernizzato un mercato del lavoro rimasto immobile per decenni, e la riforma delle pensioni, costruita con un negoziato lungo e complesso, è stata il suo capolavoro politico. Non solo perché ha toccato il sistema più simbolico dell’eredità neoliberista di Pinochet, ma perché è riuscito a farlo attraverso una sintesi con l’opposizione, superando una frattura che il Paese si trascinava da anni.
Sul piano internazionale, Boric non ha agito in solitudine. Il Cile è diventato parte attiva del nuovo protagonismo progressista latinoamericano che negli ultimi anni ha ridato voce al continente. È un blocco informale, ma riconoscibile, in cui convivono la leadership di Lula in Brasile, la spinta riformista di Gustavo Petro in Colombia, e l’orizzonte democratico tracciato in Uruguay Yamandú Orsi. In questo quadro, Boric ha contribuito a costruire una pagina politica nuova, basata su cooperazione, diritti e integrazione regionale, restituendo al Sudamerica un ruolo più autonomo e riconoscibile sulla scena internazionale.
È un filo che rimanda anche a un’altra epoca della storia cilena, a quell’idea di dignità e giustizia sociale che Salvador Allende aveva posto come asse della vita democratica.
È il riconoscimento che ogni elezione in Cile continua a misurarsi con una domanda profonda. Quanto spazio vi sia oggi per un progetto che ampli diritti e partecipazione.
Il risultato del primo turno conferma una competizione aperta. Nessuno dei candidati ha superato la soglia del cinquanta per cento, necessaria per evitare la seconda tornata. I dati riportati da Reuters indicano Jara al 26,85% e Kast al 24,13%. Il margine è sottile e non consente previsioni definitive, ma evidenzia l’importanza cruciale dello scontro del 14 dicembre.
Nel suo post pubblicato sui social dopo lo scrutinio, Jara ha scelto un tono inclusivo. Ha scritto di essere arrivata al primo posto camminando e ascoltando migliaia di persone nelle diverse regioni del Paese, rivendicando un progetto costruito con umiltà e dialogo. Ha ricordato inoltre che quasi la metà dell’elettorato non ha votato per nessuno dei due candidati approdati al ballottaggio. Un dato che la obbliga ad ampliare la propria base parlando anche a chi finora non l’ha sostenuta.
La sfida che si apre è netta. Kast può puntare a raccogliere il consenso di buona parte dell’elettorato di destra e centrodestra. Jara dovrà costruire un messaggio capace di unire stabilità economica e diritti sociali, mostrando che la continuità con le riforme avviate non è un azzardo, ma una strada possibile in un Paese ancora segnato dalle disuguaglianze.
Le conseguenze dell’esito del ballottaggio sono profonde. Una vittoria di Jara consoliderebbe la linea progressista degli ultimi anni e rafforzerebbe l’idea che il Cile possa continuare a essere un laboratorio politico per l’intera regione. Un successo di Kast aprirebbe invece a una svolta ultraconservatrice liberista, in sintonia con la nuova destra latinoamericana che negli ultimi tempi ha guadagnato terreno.
Nel quadro regionale, il caso cileno riflette un continente attraversato da oscillazioni continue fra avanzate progressiste e ritorni conservatori. Le percentuali ottenute da Jara e Kast mostrano un equilibrio instabile che parla anche oltre i confini nazionali. Il Cile torna a essere un indicatore sensibile dell’umore politico latinoamericano.
Il 14 dicembre il Paese sarà chiamato a scegliere quale direzione prendere in un momento in cui la posta in gioco supera la dimensione interna. È un voto che vale per il Cile, ma che osservatori e governi di tutta l’America Latina leggeranno come un segnale sul futuro della regione.

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