(Federica Cannas) – C’è un’idea che sta lentamente prendendo forma. La Foresta amazzonica non è soltanto un patrimonio naturale da difendere, ma il cuore di un nuovo modello economico. È in questo orizzonte che Luiz Inácio Lula da Silva colloca la sua ultima iniziativa, presentata il 6 novembre 2025 a Belém, nel cuore dell’Amazzonia.
Un progetto politico e finanziario: il Fondo Foreste Tropicali per sempre (Tropical Forests Forever Fund, TFFF).
Il fondo nasce dal consenso di oltre cinquanta governi, tra cui Germania, Francia, Cina, Brasile, Messico, Colombia, Australia, e l’Unione Europea — che si sono riuniti in Amazzonia per il lancio ufficiale del progetto, durante il Summit dei leader in vista della COP30.
L’obiettivo è chiaro. Creare un meccanismo finanziario permanente e su larga scala per la conservazione delle foreste tropicali nei Paesi in via di sviluppo.
Il TFFF è un investimento. Parte del rendimento andrà agli investitori, parte sarà trasferita direttamente ai governi che manterranno in piedi le loro foreste. È un modo radicalmente nuovo di leggere il valore della natura come infrastruttura climatica da preservare.
Come ha spiegato Lula in un post sui suoi canali ufficiali: “Non è una donazione. È un investimento. Per preservare le foreste dobbiamo garantire il sostentamento di chi se ne prende cura”.
L’innovazione del fondo sta proprio qui. Non finanzia chi distrugge e poi ripara, ma premia chi decide di non distruggere.
L’economia della deforestazione viene capovolta. Il valore economico nasce dalla conservazione.
In questa logica, la foresta non è più un problema del Sud del mondo da compensare, ma un asset finanziario globale, una componente riconosciuta dell’architettura economica della transizione ecologica.
Lula propone così di integrare la difesa dell’ambiente nella meccanica reale della finanza internazionale, affinché la tutela della vita entri nel linguaggio del capitale.
Solo se la foresta acquisisce valore nei centri decisionali dell’economia, può essere protetta con stabilità nel tempo. Perché, come ricorda Lula citando l’ambientalista brasiliano Chico Mendes, “all’inizio pensavo di lottare per salvare gli alberi della gomma, poi la Foresta Amazzonica. Ora mi rendo conto che sto lottando per l’umanità”.
La difesa dell’Amazzonia non è più una causa locale, ma una battaglia per l’intera umanità.
La scelta del luogo non è casuale. Belém, la città amazzonica che ospita la COP30, è diventata simbolo di un Brasile che torna protagonista nella diplomazia climatica globale.
Il Fondo Foreste Tropicali per Sempre è pensato come un ponte tra Nord e Sud, pubblico e privato, economia e ambiente.
Si fonda su un principio politico essenziale: le foreste valgono di più vive che distrutte.
Il documento firmato dai governi partecipanti lo afferma con chiarezza, riconoscendo il ruolo vitale delle popolazioni indigene e delle comunità locali, custodi della biodiversità tropicale e primi beneficiari della sua protezione.
Se il fondo riuscirà a operare come previsto, potrà modificare profondamente anche il rapporto tra Nord e Sud del mondo.
Non più un modello di aiuto verticale, ma un patto di interdipendenza in cui la conservazione genera valore economico condiviso.
Il Brasile, con questa iniziativa, propone un modo diverso di pensare la transizione. Non solo riduzione delle emissioni, ma creazione di valore sostenibile.
L’Amazzonia diventa così un soggetto economico attivo, capace di generare ricchezza, occupazione e stabilità climatica.
Con il TFFF, Lula riafferma il ruolo del Brasile come potenza morale e politica nel campo della sostenibilità. Dopo la riforma fiscale approvata nei giorni scorsi, che ha reso zero l’imposta sul reddito per chi guadagna fino a 5.000 reais, questa nuova iniziativa conferma la sua idea di giustizia integrale: economica, sociale e ambientale.
Nel suo linguaggio, la lotta contro la povertà e quella per la salvaguardia del pianeta non sono più piani separati.
La foresta, come il reddito, diventa parte di un’unica politica di dignità.
Il Fondo Foreste Tropicali per sempre segna l’inizio di una stagione diversa in cui la natura entra nell’agenda finanziaria del mondo come motore concreto di sviluppo.
Lula, nel richiamarsi a Chico Mendes, sembra voler dire che la battaglia per l’Amazzonia è anche la battaglia per la democrazia, per la vita e per un’economia capace di includere il futuro.
E così, in un’epoca di crisi ambientale e disuguaglianze, il Brasile prova a costruire ciò che può ancora nascere.

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