(Federica Cannas) – L’incendio che nel pomeriggio del 20 novembre ha colpito la Blue Zone della COP30 di Belém mette in luce la fragilità dell’intera architettura negoziale su cui si regge il processo multilaterale dell’ONU sul clima. Il rogo, divampato all’interno di un padiglione durante una fase cruciale dei lavori, è stato domato rapidamente dai vigili del fuoco brasiliani, ma ha costretto all’evacuazione totale dell’area e alla sospensione immediata delle sessioni ufficiali.
Tredici persone hanno ricevuto assistenza per inalazione di fumo e l’intera zona negoziale è stata consegnata alle autorità per una valutazione completa della sicurezza. Finché tali verifiche non saranno concluse, la Blue Zone rimane interdetta.
L’incidente è avvenuto mentre le delegazioni stavano lavorando sugli aspetti più complessi e politicamente sensibili degli accordi finali: finanziamenti per l’adattamento e la mitigazione, meccanismi sulle perdite e i danni, e soprattutto la questione della transizione energetica, con pressioni crescenti per ridurre progressivamente l’uso dei combustibili fossili.
La sospensione dei lavori apre una fase di incertezza che va ben oltre il ritardo temporale. L’intero impianto negoziale si basa su tempistiche rigide, scadenze ravvicinate e un equilibrio precario di compromessi. Un’interruzione improvvisa può alterare le dinamiche delle delegazioni, congelare intese informali e riaprire varchi a nuove rigidità negoziali.
Per alcuni Paesi, soprattutto quelli che arrivano alla COP con posizioni più caute sulla transizione energetica, la pausa forzata potrebbe rappresentare un’occasione per riorganizzare le strategie. Per altri, soprattutto i più vulnerabili ai cambiamenti climatici, è un rischio significativo. La perdita anche di poche ore può ridurre la pressione verso un accordo ambizioso.
La COP30 è stata presentata come la COP dell’Amazzonia e, in parte, come il momento in cui il Brasile avrebbe consolidato il suo ruolo di guida nella diplomazia climatica. La risposta immediata all’incendio è stata efficace. La gestione dell’emergenza, con l’intervento rapido delle squadre antincendio e l’evacuazione ordinata dei partecipanti, ha evitato un esito peggiore. Tuttavia, il fatto che un apparecchio elettrico difettoso, ipotesi attualmente sotto valutazione, possa bloccare l’intero processo negoziale evidenzia un punto critico: il sistema multilaterale è esposto, anche fisicamente, a vulnerabilità che vanno ben oltre la politica.
La chiusura della Blue Zone resterà probabilmente uno degli elementi simbolici di questa COP. Un imprevisto che ha reso visibile quanto siano fragili gli ingranaggi della governance climatica globale.
Nelle prossime ore, le decisioni delle delegazioni saranno influenzate da una serie di fattori che si intrecciano fra loro. Il primo riguarda il tempo. La perdita di un’intera giornata di lavori comprime ulteriormente la finestra utile per chiudere testi complessi, e quando il tempo diventa scarso, aumenta inevitabilmente la tendenza a soluzioni meno ambiziose, frutto di compromessi rapidi più che di accordi meditati.
Un secondo elemento riguarda il peso relativo delle delegazioni. Non tutte hanno la stessa capacità di adattarsi a ritmi frenetici o a cambiamenti improvvisi. I Paesi con squadre numerose, strutturate e abituate a negoziati multilaterali serrati si muovono con più agibilità. Gli Stati più piccoli rischiano invece di perdere terreno, perché dipendono fortemente dalla stabilità del formato ufficiale.
C’è poi la questione politica. L’interruzione improvvisa può irrigidire posizioni che fino a poche ore prima sembravano in fase di avvicinamento. Una trattativa, per funzionare, ha bisogno di continuità e fermare il dialogo apre sempre la possibilità che qualcuno riconsideri la propria linea, che emergano nuovi ostacoli o che gli equilibri si spostino.
Infine, resta sullo sfondo un rischio più strategico. Alcune decisioni particolarmente delicate vengano rinviate alla prossima COP. Un’opzione che molti Paesi vulnerabili considererebbero una sconfitta, ma che altri potrebbero invece valutare come utile, soprattutto in un contesto internazionale già segnato da tensioni geopolitiche e crisi multiple.
Belém è stata scelta come sede della COP30 per il suo peso simbolico. Una città amazzonica che vuole rappresentare la sfida globale alla deforestazione e alla crisi climatica. L’incendio mette in luce il divario tra simbolismo e infrastrutture reali, ma allo stesso tempo rivela un sistema capace di reagire con rapidità. Questo dualismo, ambizione e fragilità, riflette in fondo lo stesso dualismo delle politiche climatiche internazionali.
L’evoluzione del summit dipenderà da tre variabili principali.
Innanzitutto l’esito delle verifiche tecniche, da cui dipende la riapertura della Blue Zone. Una ripresa rapida delle attività consentirebbe di recuperare terreno immediatamente, mentre un ritardo obbligherebbe gli organizzatori a rivedere radicalmente la logistica del vertice.
Un secondo fattore riguarda la capacità delle delegazioni di adattarsi alla nuova situazione. Se la sede verrà riaperta in tempi brevi, sarà necessario ricorrere a sessioni straordinarie, probabilmente notturne, per riuscire a chiudere i testi. Non è escluso che i lavori possano prolungarsi oltre la data ufficiale di chiusura.
Il terzo elemento è politico: la reazione dei Paesi chiave. Brasile, Stati Uniti, Unione Europea, Cina e il gruppo G77+China decideranno il ritmo e la profondità del negoziato. Se prevarrà la volontà di arrivare a un accordo ambizioso, l’incendio resterà una parentesi. Se invece emergeranno calcoli tattici o convenienze nazionali, l’episodio rischia di pesare sull’intero risultato finale della conferenza.
L’incendio non ha colpito soltanto un padiglione. Ha messo in pausa, seppur temporaneamente, il principale tavolo di discussione mondiale sulla crisi climatica. Le prossime ore diranno se questo imprevisto sarà solo una parentesi o se lascerà un segno politico più profondo.
In ogni caso, la COP30 si trova ora davanti alla sua sfida più grande. Dimostrare che, anche quando la macchina si inceppa, la diplomazia climatica è capace di tenere il passo con l’urgenza del momento.

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