Victoria Donda non ha scoperto la sua identità come chiunque altro. Il suo nome, il suo volto, la sua storia erano stati riscritti prima ancora che lei potesse pronunciarli. Non è nata solo una volta, ma due. La prima, nel segreto di una prigione clandestina della dittatura argentina. La seconda, anni dopo, quando la verità ha squarciato il silenzio e il suo passato è riemerso come un’onda inarrestabile.
Nata nel 1977, nel pieno della dittatura militare argentina, Victoria cresce senza sapere la verità sulla sua origine. Per anni, la sua vita sembra normale. Una famiglia, una casa, un’infanzia come tante. Ma dietro la quotidianità si nasconde un segreto enorme.
I suoi veri genitori, José María Laureano Donda e María Hilda Pérez, erano attivisti di sinistra sequestrati e detenuti illegalmente dal regime militare. Sua madre, incinta quando venne arrestata, fu portata nel centro di detenzione della Scuola di Meccanica della Marina (ESMA), uno dei luoghi simbolo del terrore di quegli anni. Lì, dopo aver dato alla luce Victoria, fu uccisa.
La bambina non venne restituita alla sua famiglia biologica. Fu affidata a Adolfo Donda, un ex ufficiale della Marina argentina, che la crebbe come sua figlia, nascondendole la verità. Victoria ha vissuto per anni con un cognome che non le apparteneva, senza conoscere la storia dei suoi genitori e senza sospettare il ruolo della sua famiglia adottiva nel regime militare.
La sua storia cambia radicalmente grazie all’instancabile lavoro delle Abuelas de Plaza de Mayo, l’organizzazione che da decenni si batte per ritrovare i figli dei desaparecidos sottratti alle loro famiglie biologiche.
Dopo anni di indagini e un test del DNA, Victoria scopre di non essere chi credeva di essere. Il suo cognome, la sua storia, la sua stessa identità erano stati costruiti sulla cancellazione della sua famiglia naturale.
Scoprire di essere figlia di desaparecidos non è solo una rivelazione personale, ma un terremoto emotivo e politico. Come si fa a elaborare un’infanzia costruita sulla menzogna? Come si convive con la consapevolezza che il proprio destino è stato segnato dalla violenza di uno Stato repressivo?
Victoria non si lascia schiacciare dal peso della sua storia. Trasforma la sua scoperta in un impegno politico e sociale.
Dopo aver scoperto la verità sulla sua famiglia, diventa una delle voci più attive nella lotta per i diritti umani in Argentina. Si avvicina alla politica e, nel 2007, viene eletta deputata, diventando la più giovane parlamentare del Paese.
La sua attività politica è segnata dall’impegno per la memoria, la giustizia e i diritti delle fasce più vulnerabili della popolazione. Si batte per i diritti delle donne, delle comunità indigene, dei migranti, delle vittime della violenza di Stato. La sua storia personale diventa un simbolo della necessità di fare i conti con il passato, ma anche di guardare avanti, costruendo un’Argentina più giusta.
La storia di Victoria Donda non è un caso isolato. Durante la dittatura argentina, dal 1976 al 1983, almeno 500 bambini furono rubati alle loro famiglie e dati in adozione a militari o a famiglie vicine al regime. Per anni, il loro destino è stato avvolto nel silenzio, ma grazie alla lotta delle Abuelas de Plaza de Mayo, più di 130 di loro hanno potuto ritrovare la loro vera identità.
L’Argentina ha fatto molto per recuperare la memoria storica: processi ai responsabili della dittatura, condanne ai repressori, apertura di archivi segreti. Eppure, la questione dell’identità rimane una ferita aperta. Molti figli di desaparecidos vivono ancora sotto un cognome che non appartiene loro, senza sapere chi erano i loro veri genitori.
Dal 2019 al 2022, Victoria Donda ha ricoperto il ruolo di presidente dell’Istituto Nazionale contro la Discriminazione, la Xenofobia e il Razzismo (INADI), un incarico che ha segnato profondamente il suo percorso politico.
Durante la sua gestione, ha portato avanti battaglie cruciali per la tutela dei diritti umani, promuovendo politiche di inclusione e contrasto ai discorsi d’odio in un Paese storicamente segnato da profonde divisioni sociali.
Le sue dimissioni, avvenute nel dicembre 2022, non hanno segnato il ritiro dalla scena politica, ma piuttosto l’inizio di una fase diversa, in cui il suo impegno si è concentrato sulla denuncia delle derive discriminatorie e autoritarie che, a suo avviso, minacciano il tessuto democratico argentino.
Oggi, la sua voce resta una delle più critiche nei confronti del governo di Javier Milei, che accusa di portare avanti una politica basata sulla stigmatizzazione delle fasce più vulnerabili della popolazione. Con il suo stile diretto e combattivo, continua a ribadire che la lotta contro l’odio non è solo una questione ideologica, ma una necessità sociale, un’azione collettiva per difendere la democrazia e i diritti di tutti.
La storia di Victoria dimostra una volta ancora che la memoria non è solo un dovere storico, ma una battaglia quotidiana. Il suo percorso è quello di un Paese che non può e non vuole dimenticare. Perché solo curando le proprie ferite si può davvero guarire.

La presidente
Federica Cannas

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