Un mondo in cui le decisioni che influenzano la nostra vita non sono prese da politici eletti, ma da algoritmi invisibili. Un mondo cui il lavoro non è più una fonte di dignità, ma un numero calcolato da una piattaforma che assegna incarichi senza volto. Questo non è uno scenario futuristico: è il presente in cui viviamo.

In questa realtà, dominata dalle grandi aziende tecnologiche, la rivoluzione digitale ha trasformato ogni aspetto della società. Ma ci siamo mai chiesti chi sta davvero beneficiando di questa rivoluzione? I principi del socialismo democratico – giustizia sociale, uguaglianza e partecipazione – possono aiutarci a ripensare l’economia digitale e a costruire un futuro in cui la tecnologia serva il bene comune, non solo il profitto.

Le aziende tecnologiche sono diventate le nuove potenze globali. Con profitti che superano il PIL di intere nazioni, colossi come Amazon, Google e Meta accumulano enormi ricchezze, ma contribuiscono poco al benessere collettivo. I loro modelli di business si basano su una risorsa che noi stessi forniamo gratuitamente: i dati.

Immaginiamo una tassa sulle grandi piattaforme tecnologiche, i cui proventi vengano utilizzati per finanziare l’istruzione, la sanità e le infrastrutture digitali pubbliche. Un’economia digitale giusta non può prescindere da una redistribuzione che garantisca a tutti l’accesso alle opportunità create dalla tecnologia.

Nell’era digitale, l’accesso a Internet non è un lusso, è una necessità. È il ponte verso l’istruzione, il lavoro e la partecipazione democratica. Tuttavia, milioni di persone in tutto il mondo, anche nelle nazioni più sviluppate, sono escluse da questa connessione.

Il socialismo democratico, con i suoi principi, ci insegna che nessuno deve essere lasciato indietro. L’accesso universale a Internet e all’alfabetizzazione digitale deve essere garantito come un diritto umano fondamentale. E non basta fornire la connessione. Dobbiamo assicurarci che le persone abbiano gli strumenti e le competenze per usarla a loro vantaggio.

Un’economia digitale giusta deve mettere al centro la dignità del lavoro. Ciò significa introdurre normative che garantiscano contratti equi, salari adeguati e diritti sindacali anche per i lavoratori delle piattaforme. La tecnologia non può essere un pretesto per aggirare le conquiste sociali del passato.

Gli algoritmi influenzano ciò che vediamo, compriamo e persino come votiamo. Ma chi li controlla? E chi decide come funzionano? Il potere degli algoritmi è concentrato nelle mani di poche aziende, che li usano per massimizzare i profitti, spesso a scapito del benessere collettivo.

Il socialismo democratico ci offre una risposta: portare la democrazia anche nell’economia digitale. Questo significa trasparenza sugli algoritmi, partecipazione pubblica nella loro progettazione e regolamentazione, e l’introduzione di piattaforme digitali pubbliche che garantiscano un utilizzo etico dei dati.

Il progresso tecnologico non è inevitabilmente positivo. Dipende da come scegliamo di usarlo. Il socialismo democratico ci ricorda che la tecnologia deve servire l’umanità, non dominarla. Deve essere un mezzo per ridurre le disuguaglianze, non per amplificarle.

In un mondo giusto i dati personali sono protetti e utilizzati per migliorare la vita delle persone, non per manipolarle. I lavoratori sono valorizzati, non sfruttati. L’accesso alla tecnologia sia universale, e non un privilegio per pochi.

Nell’era dell’algoritmo, i valori del socialismo democratico sono più attuali che mai. Ci ricordano che il vero progresso non si misura con la velocità delle connessioni, ma con la capacità di costruire una società più giusta, in cui nessuno sia lasciato indietro.

Il futuro digitale è nelle nostre mani. Sta a noi decidere se sarà un mondo di disuguaglianze amplificate o un’opportunità per costruire un nuovo modello di giustizia sociale. 

Come disse Salvador Allende, “La storia è nostra e la fanno i popoli”.

La presidente
Federica Cannas

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