“Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il sacrificio non sarà vano. Sono sicuro che, almeno, ci sarà una sanzione morale che condannerà la fellonia, la viltà e il tradimento”.

11 settembre 1973. Con queste ultime struggenti parole, mentre dal cielo sopra Santiago pioveva piombo sul Palazzo de La Moneda circondato anche da terra dall’esercito, il Presidente cileno Salvador Allende, attraverso l’unica emittente radio che ancora non era caduta nelle mani dei militari insorti, salutó il suo amato popolo con un coraggio ed una determinazione che ancora oggi suscitano commozione.
Quell’ultimo saluto così carico di forza e dignità consegnó per sempre alla storia un uomo, un leader dall’alta statura morale, che con il suo sacrificio fece diventare il Cile un simbolo di libertà e giustizia.
Salvador Guillermo Allende Gossens, nato il 26 giugno 1908 a Valparaiso da una famiglia importante nel contesto politico cileno, medico, fu il primo leader socialista democraticamente eletto.
Tra i fondatori del Partito Socialista cileno, fu senatore, presidente del Senato e ministro, prima di ricoprire la massima carica del Paese.

Quale leader di una coalizione composta da comunisti, socialisti, radicali e cattolici di sinistra, Unidad Popular, divenne Presidente della Repubblica il 4 settembre 1970, ottenendo la vittoria con poco più del 36 per cento dei voti, superando di stretta misura l’ex presidente conservatore e il candidato democristiano. Non avendo raggiunto la maggioranza assoluta, la sua presidenza ebbe inizio in virtù di un accordo parlamentare tra le forze di sinistra e i cattolici, malgrado le forti pressioni statunitensi sui centristi per non consegnare il governo del Paese ad un politico marxista. Tristemente emblematiche, al riguardo, le parole del Segretario di Stato americano, Henry Kissinger, tra i più solerti nel tentativo di impedire la presidenza Allende, ritenuta inaccettabile nella logica di un mondo in bilico tra due blocchi contrapposti durante la guerra fredda, nei giorni precedenti le elezioni: “Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare, mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo”.

La vittoria per Allende arrivò mentre il Cile attraversava una fase fortemente critica: il Paese era dominato da una oligarchia di latifondisti che possedeva la metà dei terreni coltivabili e una piccola elite disponeva della gran parte del reddito nazionale. I livelli di mortalità infantile, analfabetismo e disoccupazione, aggravati da un’inflazione galoppante, erano altissimi.
Salvador Allende, dichiaratamente marxista e non violento, sostenuto da Unidad Popular, affermò la propria lealtà costituzionale, dando vita alla cosiddetta “via cilena al socialismo”, il cui obiettivo era l’attuazione di un processo politico con connotazioni antimperialiste, antimonopolistiche e antioligarchiche che consentisse di arrivare al socialismo pacificamente e senza la necessità di una rottura rivoluzionaria. Un percorso democratico verso il socialismo che escludesse la distruzione dell’apparato statale borghese e, nello stesso tempo, contemplasse una sua trasformazione graduale dall’interno.
In linea con il programma presidenziale, fu ben presto avviata la nazionalizzazione delle principali industrie private e risorse naturali, a partire dalle miniere di rame, della gran parte delle banche e compagnie assicurative, della compagnia aerea di bandiera e fu messa a punto

una importantissima riforma agraria, che portò all’esproprio dei possedimenti dei grandi latifondisti.
Sul piano sociale furono calmierati i prezzi di tutti i beni di largo consumo e furono introdotti incentivi all’alfabetizzazione, l’aumento dei salari, tutele sociali, quali il prezzo fisso del pane, la riduzione degli affitti, l’aumento delle pensioni minime e la distribuzione gratuita di cibo agli indigenti. La “via cilena al socialismo” si realizzò anche attraverso una riforma del sistema sanitario, l’annullamento dei finanziamenti pubblici alle scuole private, una tassa sui profitti. Obiettivo primario era sostenere i più poveri e le classi popolari. A ciò, si aggiunse l’introduzione del divorzio.

La rivoluzione pacifica di Allende, con le sue riforme economico-industriali, fu osteggiata, contrastata e combattuta a più livelli, sia dalle forze reazionarie cilene, che dalla Casa Bianca e dalle multinazionali statunitensi, che generarono uno scontro civile che rese il clima nel Paese rovente, fino al colpo di stato militare guidato dal generale Augusto Pinochet, che l’11 settembre 1973 mise brutalmente fine all’esperienza di governo di Salvador Allende e instaurò una dittatura sanguinaria, che sarebbe terminata solo decenni più tardi e decine di migliaia desaparecidos dopo. 

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