
Negli anni ’70 e ’80, mentre il mondo guardava alla Guerra Fredda come a una contrapposizione tra due blocchi ideologici, in America Latina andava in scena una guerra silenziosa e spietata. Non si combatteva con eserciti regolari, ma con squadre della morte, voli della morte, prigioni segrete e centri di tortura. Il Piano Condor non fu solo un’operazione di repressione politica, ma un sofisticato sistema di controllo transnazionale, un’alleanza del terrore che superava i confini geografici e ideologici.
L’America Latina divenne un laboratorio repressivo senza precedenti, un modello di gestione del dissenso che ancora oggi ha ripercussioni profonde. L’elemento più inquietante del Piano Condor non è solo l’ampiezza della sua rete, ma la sua modernità operativa, il suo anticipare le strategie di intelligence e guerra sporca che sarebbero state replicate su scala globale nei decenni successivi.
Il Piano Condor nasce formalmente nel 1975, durante un incontro segreto tra i vertici militari di Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Bolivia e Brasile. L’obiettivo era chiaro: coordinare gli sforzi per eliminare gli oppositori politici, indipendentemente da dove si trovassero. Il nemico non aveva confini e quindi la repressione non doveva averne.
Si trattava di un patto di sangue tra dittature militari che, sotto la supervisione della CIA e con il supporto degli Stati Uniti, si impegnavano a scambiarsi informazioni, liste di sospetti, tecniche di tortura e persino uomini. Chi fuggiva da un regime veniva rintracciato e consegnato ai carnefici del proprio Paese d’origine. Le ambasciate non erano più rifugi sicuri, le frontiere non offrivano più protezione.
Il risultato fu un’operazione di sterminio politico che ha portato alla sparizione di almeno 50.000 persone, all’incarcerazione di oltre 400.000 e all’esilio forzato di migliaia di oppositori. Un’intera generazione di attivisti, sindacalisti, intellettuali e studenti venne annientata con metodo scientifico.
Uno degli aspetti più inquietanti del Piano Condor fu la sofisticazione delle tecniche di repressione. La tortura non era solo uno strumento di punizione, ma un metodo di annientamento psicologico, spesso perfezionato con il supporto di esperti statunitensi.
I regimi svilupparono un’intera ingegneria della paura, che andava dai centri clandestini di detenzione, veri laboratori del dolore, fino alla strategia dei voli della morte, con cui i prigionieri venivano sedati e gettati nell’oceano ancora vivi.
Ma la repressione non si fermava all’eliminazione fisica. Un’arma altrettanto devastante fu la destrutturazione del tessuto sociale, con la militarizzazione della società, il controllo dei mezzi di comunicazione, la diffusione di propaganda e la criminalizzazione del dissenso.
L’Italia ha un legame diretto con il Piano Condor. Non solo per il fatto che centinaia di desaparecidos avevano cittadinanza italiana, ma anche per il ruolo che alcuni settori dell’intelligence occidentale ebbero nella protezione dei criminali di guerra sudamericani.
Il processo Condor, celebrato a Roma nel 2019, ha portato alla condanna di alcuni tra i più alti esponenti della repressione latinoamericana, tra cui Jorge Néstor Troccoli, ex ufficiale dell’intelligence uruguayana rifugiatosi in Italia.
I documenti declassificati rivelano che negli anni ’70 e ’80 servizi segreti e governi europei erano informati di ciò che accadeva, ma preferirono non intervenire, in alcuni casi per complicità politica, in altri per non compromettere le relazioni economiche e strategiche con i regimi militari sudamericani.
Dietro il terrore del Piano Condor non c’era solo una lotta ideologica tra destra e sinistra, ma un preciso disegno economico. La violenza serviva a garantire la transizione a un modello neoliberista radicale, basato sulla distruzione dello stato sociale, la privatizzazione selvaggia e l’apertura ai capitali stranieri.
Le dittature furono gli strumenti perfetti per smantellare i sindacati, le università libere, i movimenti operai e contadini.
Le ricette economiche imposte con il sangue si sono radicate in America Latina fino a oggi. I sistemi pensionistici privatizzati, l’istruzione costosa e inaccessibile, la sanità pubblica ridotta all’osso, le disuguaglianze strutturali sono l’eredità invisibile del Piano Condor, ma non meno devastante.
Le dittature sono cadute, ma il loro apparato repressivo si è trasformato, adattandosi ai nuovi scenari politici. Molti dei militari e dei funzionari coinvolti nel Piano Condor non sono mai stati puniti.
Le tecniche di sorveglianza e controllo sociale, le forze armate impunite, la criminalizzazione dei movimenti sociali dimostrano che il modello Condor non è un capitolo chiuso della storia, ma una lezione ancora attuale.
Il passato non passa mai veramente quando resta impresso nelle strutture di potere. E la lotta per la memoria non è mai un semplice tributo ai morti, ma un argine per proteggere i vivi.
La presidente
Federica Cannas