
In un’America Latina attraversata da tensioni, svolte progressiste e contraccolpi reazionari, la Colombia del presidente Gustavo Petro ha compiuto un passo di portata storica. Con l’approvazione definitiva della riforma del lavoro da parte del Congresso — una riforma attesa da decenni e mai realizzata — si chiude un lungo ciclo di precarietà e si apre, finalmente, una stagione nuova per milioni di lavoratori e lavoratrici.
Il presidente lo ha detto con chiarezza, senza retorica: “Ho mantenuto la promessa alla classe lavoratrice”. E, forse, non c’è dichiarazione più politica di questa. In un Paese dove per trent’anni la parola “diritti” è spesso rimasta ai margini del dibattito istituzionale, questa riforma restituisce centralità e dignità a chi tiene in piedi la Colombia reale: chi lavora.
Il testo unificato, approvato in via definitiva il 20 giugno 2025 e sostenuto in entrambe le Camere con una maggioranza solida, segna un cambiamento sostanziale. Si tratta di una riforma che incide concretamente sulla vita quotidiana, superando la logica dei grandi proclami per entrare nella carne viva delle relazioni di lavoro.
La riforma approvata non è un insieme di buone intenzioni astratte, ma una trasformazione concreta, fatta di norme che incidono sulla quotidianità di milioni di persone. Al centro c’è il ritorno alla stabilità come valore: il contratto a tempo indeterminato torna a essere la regola, mentre quelli a termine vengono drasticamente limitati, con una durata massima fissata a quattro anni. È una scelta chiara, che segna un’inversione di rotta rispetto alla lunga stagione della flessibilità senza tutele.
Cambia anche la definizione di orario notturno, che verrà riconosciuto a partire dalle 19:00, due ore prima rispetto alla normativa precedente. Un dettaglio, forse, ma che rivela attenzione per i tempi di vita delle persone e per l’equilibrio tra lavoro e riposo. Allo stesso modo, le maggiorazioni per il lavoro domenicale e festivo verranno progressivamente aumentate fino a raggiungere il 100% nel 2027: un riconoscimento economico, ma anche simbolico, per chi lavora mentre il resto del Paese si ferma.
Particolare attenzione è stata dedicata alle lavoratrici e ai lavoratori più giovani. Gli apprendisti avranno finalmente accesso a contratti veri, con contributi versati e salari dignitosi. Non più stagisti invisibili, ma persone che muovono i primi passi nel mondo del lavoro con diritti reali. Anche le madri comunitarie, figure fondamentali nel sistema di cura colombiano, escono dall’ombra dei sussidi saltuari: saranno finalmente assunte con una retribuzione garantita e riconosciute come lavoratrici a tutti gli effetti.
Un’altra novità di rilievo riguarda le lavoratrici e i lavoratori delle piattaforme digitali, finora esclusi da ogni forma di protezione. La riforma li riconosce per quello che sono: non “autonomi per definizione”, ma persone che lavorano e che, come tali, devono avere accesso alle tutele fondamentali. È un passaggio decisivo, che aggiorna la legislazione al mondo del lavoro contemporaneo e apre la strada a un nuovo paradigma.
La riforma arriva dopo mesi di tensioni, mediazioni e scontri. Inizialmente pensata per essere sottoposta a referendum, è stata invece approvata dal Congresso con un testo unificato. Il presidente Petro ha scelto la via parlamentare e ha vinto una battaglia simbolica e concreta, dimostrando che anche in Colombia è possibile fare riforme profonde senza spezzare il sistema democratico, ma rafforzandolo.
E non è un dettaglio. La Colombia è un Paese che ha conosciuto la guerra civile, il dominio dei cartelli, la sfiducia verso lo Stato. Una riforma del lavoro come questa, in un contesto simile, non è solo un atto amministrativo, è un atto di fiducia nella possibilità che la politica serva davvero a cambiare la vita delle persone.
Dopo l’approvazione in Senato e Camera, il testo è stato inviato alla Presidenza per la firma.
Il ministro Benedetti ha dichiarato che la firma “sarà un momento apoteosico”, e non è difficile capire perché. La riforma del lavoro era uno dei punti cardine del programma con cui Petro è salito al potere. Un programma che, al netto delle resistenze, ha sempre cercato di mettere al centro la giustizia sociale.
La forza di questa riforma sta nella sua capacità di essere insieme radicale e pragmatica. Non si limita a enunciare principi, modifica concretamente norme, orari, contratti, retribuzioni. Riconosce lavori prima invisibili e stabilisce un nuovo equilibrio tra flessibilità e diritti.
Si tratta, in definitiva, di un cambiamento culturale. Dopo decenni in cui la parola “riforma” è stata usata quasi sempre per togliere, qui si restituisce. Si costruisce. Si protegge.
Petro non si ferma. Dopo la riforma, ha annunciato per il 2026 l’intenzione di proporre un’Assemblea Costituente. L’obiettivo è quello di aggiornare il patto democratico del Paese, dando spazio ai nuovi soggetti sociali e consolidando le conquiste ottenute.
In questo senso, la riforma del lavoro non è un punto d’arrivo, ma l’inizio di un processo più ampio. Un tassello fondamentale in una visione politica che vuole costruire una Colombia più giusta, moderna, capace di riconoscere e valorizzare la propria forza lavoro come fondamento della democrazia.
La riforma del lavoro non è perfetta, e lo stesso Petro lo sa. Ma rappresenta, senza dubbio, il più importante avanzamento in materia di diritti del lavoro in Colombia negli ultimi trent’anni. È una riforma che rompe con l’inerzia, restituisce voce ai lavoratori e offre una nuova grammatica della dignità sociale.
In un mondo sempre più dominato da logiche neoliberiste, è un esempio che merita attenzione. Perché dimostra che anche oggi, e anche in Paesi complessi come la Colombia, il cambiamento è possibile. Quando c’è volontà politica, coraggio e visione.
E tutto questo non è poco. È un inizio.
La Presidente
Federica Cannas