
“Non c’è notte, qui dentro. Non c’è giorno. Solo tempo che si sbriciola lento come le pareti umide di questa cella.
A volte penso di essere solo un’ombra rimasta impigliata nel fondo di un pozzo. Una di quelle ombre che nessuno vede, che nessuno sente. Eppure, qui dentro, c’è una vita che pulsa.
Sei tu, piccolo mio. Sei tu il battito che mi tiene viva. Sei tu la luce in questo buio.
Ti muovi, ti stiracchi, reclami il tuo posto nel mondo.
Il mondo…
Il tuo mondo, amore mio, non sarà questo. No. Io te lo prometto. Non sentirai il rumore delle chiavi che girano nella serratura, né le urla soffocate nella notte. Il tuo mondo sarà quello dei libri che ho amato, delle piazze piene di voci, della libertà che sognavamo.
Ti chiamerai Guido, come tuo nonno.
Guido, come la speranza che non muore.
Pensi che avrò paura, piccolo mio?
No. Non la paura che credono loro.
Non temo la notte, né i muri, né il dolore.
Temo solo di non poter stringere le tue mani piccole. Di non poterti cantare una ninna nanna, di non poterti insegnare i nomi degli alberi.
Ti porteranno via da me. Lo so.
Cercheranno di spezzare il filo che ci lega, di cancellare il mio nome, la mia voce.
Ma tu sarai forte.
Tu sarai più grande di questa gabbia.
Ti cercheranno in una casa che non è la tua, con un nome che non è il tuo, ma dentro di te, nel fondo più profondo della tua anima, sentirai un battito. Il mio battito.
E quando una voce sconosciuta ti chiamerà, tu saprai che c’è un’altra voce che ti sta cercando.
Una voce che ti ama oltre il buio, oltre il silenzio, oltre la morte.
Ci troveremo, amore mio.
Forse non subito, forse ci vorranno anni, ma ci troveremo.
Perché la verità ha radici profonde, più profonde della menzogna.
Perché l’amore è il solo filo che non si spezza.
Perché io sono tua madre e tu sei mio figlio.
E niente, niente potrà mai cambiare questo.”
Laura Carlotto aveva solo 23 anni quando fu rapita dai militari argentini. Studentessa di Storia all’Università di La Plata, sognava un Paese più giusto, libero dalla violenza della dittatura. Era il 26 novembre 1977 quando la prelevarono. Da quel giorno, la sua vita diventò un numero tra migliaia, inghiottita nel buio dei centri clandestini di detenzione.
Prigioniera nel centro di La Cacha, subì torture e umiliazioni. Ma dentro di lei cresceva Guido, il figlio che portava in grembo, l’ultima scintilla di speranza in un inferno di crudeltà. Lo partorì in condizioni disumane, lo strinse a sé per pochi istanti, prima che le venisse strappato per sempre. Poche settimane dopo, Laura fu assassinata.
Il destino del piccolo Guido fu lo stesso di centinaia di bambini nati in cattività: consegnato a una famiglia vicina alla giunta militare, privato del suo nome, della sua identità, delle sue radici. Il regime non si limitò a uccidere le madri, volle anche cancellare i figli, riscriverne il passato, trasformarli nei discendenti degli stessi carnefici che avevano sterminato le loro famiglie.
Ma la memoria non si cancella, e le madri non smettono mai di cercare.
Da quell’assenza è nata una battaglia. Estela Carlotto, madre di Laura, ha trasformato il dolore in missione, diventando una delle figure più emblematiche delle Abuelas de Plaza de Mayo. Insieme ad altre donne come lei, ha sfidato il silenzio e l’omertà, rivendicando giustizia in un Paese che voleva dimenticare.
Le Abuelas hanno seguito ogni traccia, hanno raccolto documenti, hanno bussato a porte chiuse per anni. Hanno dato un nome ai desaparecidos, hanno gridato nelle piazze quando tutti preferivano guardare altrove.
Grazie alla loro ostinazione, sono stati ritrovati 132 nipoti, strappati al loro passato e restituiti alla verità. Tra loro, nel 2014, anche Guido Carlotto, dopo 36 anni di bugie.
Non si tratta solo di storie private. Il furto dei bambini durante la dittatura argentina è stato un crimine di Stato, un tentativo deliberato di riscrivere la società, di costruire una generazione inconsapevole delle proprie origini.
Oggi, la ricerca continua. Molti bambini rubati, ormai adulti, vivono ancora sotto un’identità falsa. Alcuni non vogliono sapere, altri intuiscono, ma temono la verità. Eppure, la memoria ha radici profonde. Prima o poi, un volto, un nome, una sensazione inspiegabile li porterà a cercare.
Perché la verità è paziente. Perché il battito di una madre non si spegne mai.
La storia di Laura Carlotto non è solo una storia del passato. È il simbolo di tutte le voci che non hanno potuto raccontare la propria storia, di tutte le madri che hanno sognato di poter stringere di nuovo i loro figli. È il riflesso di una lotta che non finisce, che attraversa il tempo, che chiede giustizia.
Laura portava dentro sè due vite: Guido e la memoria. Il regime ha cercato di soffocarle entrambe. Ma se oggi possiamo raccontare questa storia, se oggi Guido è stato restituito alla sua famiglia, è perché quella memoria ha resistito.
E continuerà a farlo, perché l’amore è il solo filo che non si spezza.
La Presidente
Federica Cannas