
Eduardo Galeano è stato un narratore di umanità, un artigiano delle parole capace di intessere storie di lotta, dolore e speranza con una leggerezza che sfiorava la poesia. La sua scrittura è un filo rosso che unisce passato, presente e futuro, tracciando un percorso visionario verso un socialismo non ideologico ma profondamente umano, fatto di sogni, di volti e persone.
Mentre molti pensatori di sinistra cercavano la redenzione nei manifesti e nei programmi politici, Galeano guardava alla vita vissuta, alle mani callose dei contadini, alle grida silenziose degli oppressi. Il suo socialismo non era un’ideologia astratta, nasceva dalle voci dei popoli dimenticati e dalle strade polverose dell’America Latina.
In “Le vene aperte dell’America Latina”, Galeano racconta con rigore e passione lo sfruttamento coloniale, ma senza mai cedere al dogmatismo. Non pretende di impartire lezioni, non offre soluzioni preconfezionate. Racconta, piuttosto, le storie di chi ha subito, resistito e sognato un mondo diverso. Il suo socialismo è intriso di memoria collettiva e di dignità popolare, un antidoto contro l’oblio e l’apatia.
La memoria, per lui, è un atto di resistenza. Scrivere delle ingiustizie subite dai popoli latinoamericani è il modo per mantenere vivo il grido di chi non ha più voce. Galeano sapeva bene che il potere teme la memoria, perché ricordare significa riconoscere le responsabilità, significa riaprire ferite che il sistema vorrebbe lasciare cicatrizzare nell’indifferenza.
La sua capacità di raccontare la storia dal punto di vista degli ultimi non nasceva solo da un talento narrativo, ma da una profonda esigenza morale. Come lui stesso diceva,
“La storia è una profezia rivolta all’indietro: ciò che è stato continua ad accadere.”
A differenza di altri intellettuali, Galeano non rinuncia mai alla speranza. Anche quando racconta storie di dolore e ingiustizia, riesce a insinuare un sorriso, una scintilla di resistenza. Nei suoi racconti, le parole danzano leggere, come a volersi sollevare dalla pesantezza della storia per abbracciare l’utopia.
Il suo è un socialismo visionario che si mostra in tutta la sua potenza. Che abbraccia l’idea di una comunità umana solidale, dove l’incontro tra le persone diventa atto rivoluzionario.
Non ha mai creduto nella rivoluzione violenta e imposta. Il suo socialismo è una rivoluzione dei sognatori, di chi, pur consapevole dell’amarezza e delle sconfitte, non smette di immaginare un domani migliore. Non una rivoluzione armata, ma una ribellione poetica, fatta di sguardi, di strette di mano, di comunità che si riconoscono e si sostengono.
Il suo sguardo visionario ha fatto di lui una guida per chi cerca ancora oggi di costruire un socialismo più umano e meno ideologico, più solidale e meno burocratico. Un socialismo che non si impone ma si racconta, che non detta legge ma apre possibilità.
Galeano ci ha lasciato nel 2015, ma le sue parole continuano a essere necessarie. In un tempo in cui il neoliberismo sembra avere la meglio e la solidarietà è spesso soffocata dall’individualismo, il suo invito a coltivare l’utopia risuona più forte che mai.
Come lui stesso scriveva:
“Lei è all’orizzonte… Mi avvicino di due passi, e lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi, e l’orizzonte si sposta di dieci passi. Per quanto cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? A questo: serve a camminare.”
Eduardo Galeano ci ha insegnato a camminare, anche quando il cammino sembra impossibile. A sognare, anche quando il sogno sembra irraggiungibile. Perché, alla fine, il socialismo visionario non è altro che un cammino umano verso la dignità e la giustizia, senza mai smettere di sperare.
La Presidente
Federica Cannas