Rileggere Bettino Craxi significa restituirlo al suo ruolo più autentico, quello di innovatore. Un leader che osò immaginare, per l’Italia e per l’intero Mediterraneo, un progetto politico diverso da tutti quelli allora in campo. Un socialismo che non proveniva da modelli esteri, ma che nasceva dalla storia, dalle relazioni, dalle contraddizioni e dall’identità di un’area capace di collegare continenti, culture e popoli. Craxi ebbe la limpida intuizione che il Sud Europa avesse diritto a un socialismo su misura, radicato nel carattere profondo delle sue società e coerente con il suo ruolo geopolitico.

Per lui il Mediterraneo non era una cornice geografica, ma una destinazione politica, un orizzonte di relazioni, un laboratorio del possibile. In questo quadro lo Stato non appariva come una macchina burocratica distante dai cittadini, ma come un ponte tra comunità, uno spazio di mediazione, un agente di coesione. Le comunità non erano un elemento marginale o nostalgico, bensì un tessuto vivo, una risorsa essenziale per dare direzione e forza a una modernità che non chiedeva di cancellare memoria e tradizioni, ma di capirle, valorizzarle e portarle nel futuro con consapevolezza.

Da questa visione nasceva il suo socialismo mediterraneo: un progetto politico radicato, realistico e insieme ambizioso, capace di unire sviluppo e identità, apertura e continuità.

Il Mediterraneo era per Craxi un’idea fissa, un cardine della sua azione politica. L’Italia veniva pensata come “ponte” naturale tra Europa, Africa e Medio Oriente. Non un margine, ma un centro di dialogo, cooperazione, convergenze. Nella politica craxiana emergeva una sensibilità internazionale che metteva al centro la pace, il confronto, la convivenza civile, non come slogan ma come scelte strategiche. Per lui il Mediterraneo era un crocevia di civiltà, un mosaico di popoli, una rete di scambi, un contesto che richiedeva coesione interna ma anche una visione esterna fatta di mediazione e diplomaticità.

Il suo socialismo mediterraneo non puntava a forzare le trasformazioni né a inseguire modernizzazioni astratte. Intendeva guidarle con equilibrio. Intendeva accompagnare lo sviluppo economico, valorizzare le imprese, rafforzare lo Stato, ma sempre mantenendo intatta la coesione sociale. Per Craxi la modernizzazione non era sinonimo di fredda efficienza, bensì di responsabilità politica, economica e sociale. Lo Stato doveva rimanere custode di solidarietà e diritti, interprete dei bisogni delle comunità, garante di un equilibrio dinamico tra progresso e radici.

Questa impostazione, profondamente mediterranea, mirava a riconoscere la dignità delle comunità, a valorizzare diversità regionali e tradizioni, ma allo stesso tempo a immaginare un’Italia e un Mediterraneo capaci di dialogare con il mondo in un’epoca di trasformazioni globali.

La visione internazionale di Craxi, infatti, oltrepassava i confini nazionali. La sua idea di politica estera era costruita sul dialogo, sulla cooperazione, sulla solidarietà. In anni dominati dalla logica del conflitto, Craxi scelse consapevolmente la mediazione e un protagonismo responsabile nel Mediterraneo. Auspicava una regione fondata su collaborazione e sviluppo, scambi culturali, relazioni economiche integrate, stabilità e rispetto tra popoli. Una visione che, letta oggi, appare straordinariamente moderna. In un mondo attraversato da migrazioni, squilibri economici e tensioni geopolitiche, l’intuizione di costruire un grande spazio mediterraneo di cooperazione è quanto mai attuale.

Per noi del Centro Studi Salvador Allende, che guardiamo al Sud del mondo come spazio di speranza, cambiamento e cooperazione, la riflessione sul socialismo mediterraneo di Craxi è preziosa. Si tratta di un socialismo concreto, dialogico, partecipativo, capace di valorizzare diversità e radici culturali e di proiettarsi nel futuro con responsabilità.

Proprio per questo l’esperienza craxiana può dialogare con i governi progressisti dell’America Latina. Non perché esistano analogie dirette, ma perché le accomuna un’idea fondamentale: lo sviluppo non può essere separato dalla dignità sociale, la cooperazione internazionale è strumento imprescindibile, lo Stato deve essere inclusivo, promotore di coesione, garante di diritti e opportunità. Il Mediterraneo e il Sud del mondo diventano così due geografie distinte ma unite dalla stessa tensione verso un modello di sviluppo alternativo, fondato sulla partecipazione e sulla solidarietà.

Craxi non offrì un modello chiuso, ma un’ipotesi viva. Una domanda ancora intatta: quale socialismo può nascere dal Mediterraneo? Un socialismo che superi i confini, che veda nella cooperazione internazionale non un optional, che riconosca la comunità come valore e che guardi avanti.

Per chi cerca, oggi, nel Sud del mondo e nel Sud d’Europa una possibilità di riscatto e di rinnovamento, l’eredità di Craxi non è un ricordo, ma una strada da cui ripartire.

Il suo progetto rimase incompiuto, come spesso accade alle intuizioni più avanzate. Ma è proprio nelle traiettorie non concluse che si trovano le domande più fertili, le sfide più attuali, le potenzialità più vive.

Ed è per questo che vale la pena tornare a chiedersi: può il Mediterraneo diventare, finalmente, un centro di cooperazione, di dialogo, di prosperità? Può l’Italia riconquistare la sua vocazione mediterranea guardando al mondo senza perdere se stessa? Può un socialismo del Sud Europa trasformarsi in realtà concreta e non restare solo un’intuizione?

Sono queste le domande che meritano, oggi, tutta la nostra attenzione.

La Presidente 

Federica Cannas

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